Onorevoli Colleghi! - La generazione che nasce nel mondo a società industriali avanzate potrà sicuramente vivere fino a cent'anni e forse più. È questa l'evidenza scientifica che annunciano i medici e i ricercatori. La vita media già guadagna un decennio in due generazioni e progredisce ancora; fenomeno, questo, di rilevanza storica preminente all'inizio del terzo millennio.
      Non è più questione di lunghe vite occasionali destinate a singole persone, come nel passato, ma di longevità collettiva senza paragone con quanto avveniva fino a pochi decenni fa. Dallo studio complessivo del fenomeno affiora uno scenario in cui la longevità di massa produce conseguenze complesse da ogni punto di vista: sociale, psicologico, economico. Trasformazione che concerne il singolo individuo, i nuclei familiari, le comunità, e in pratica tutti i settori governativi e della società civile in generale. Anche i provvedimenti in materia di politiche e gli atteggiamenti verso l'invecchiamento devono evolvere. Le questioni riguardanti l'invecchiamento devono essere integrate al meglio nel più ampio contesto dei piani di sviluppo. Decadono le nozioni convenzionali di età giovane, media, tarda. Bisogna ridefinire il significato di parole come: adulto, vecchio ed anziano.
      Ogni parametro è destinato a cambiare, s'impone l'esigenza di riprogrammare l'esistenza dei singoli e della società. Le persone anziane devono essere in grado di partecipare pienamente alle decisioni che riguardano le loro vite.
      In Europa, nel 1960, venivano censiti 34 milioni di anziani. Nel 1999 erano 60 milioni. Le previsioni demografiche indicano che il numero delle persone con età superiore a 80 anni crescerà di quasi il 50 per cento entro il 2015. Il XXI secolo si caratterizzerà, dunque, per l'esplosione demografica degli anziani. Tale fenomeno è particolarmente accentuato nel nostro Paese dove si registra la più alta percentuale

 

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di abitanti che hanno superato i 65 anni (18,2 per cento). Tale percentuale andrà progressivamente ad aumentare fino a raggiungere il 46,2 per cento nel 2050 anche a fronte della bassa natalità (1,19 figli per ogni coppia) che condurrà dagli attuali 8 milioni di soggetti fra 0 e 14 anni a soli 5 milioni nel 2050. Questo dato porta in sé il gravissimo problema di una vistosa riduzione della popolazione attiva (dai 15 ai 64 anni) che passerà da 40 milioni attuali a soli 28 milioni. Siamo prossimi ad uno scenario in cui per ogni lavoratore ci sarà un pensionato. Già oggi, nel nostro Paese, in ben 5 province, tale rapporto è stato superato. Infatti nelle province di Enna, Alessandria, Reggio Calabria, L'Aquila e Agrigento il numero dei pensionati ha superato quello degli occupati.
      Peraltro, il nostro Paese ha un altro record negativo fra i Paesi più industrializzati: solo il 30 per cento degli occupati ha più di 55 anni.
      Questi dati, ormai a tutti noti, hanno condotto alla valutazione del fenomeno come un problema potenzialmente destabilizzante per la società facendo focalizzare l'attenzione solo su due aspetti: il pensionistico e il sanitario, ritenendo erroneamente ancora valido il detto di Terenzio «senectus ipsa est morbus», quasi che, per la metà di una popolazione, il «vivere» si debba ridurre alla difficoltà di percepire una pensione o ad avere accettabili servizi di assistenza.
      Non è così! A Vienna, nel 1982, l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha tenuto la prima Assemblea mondiale sull'invecchiamento cui sono seguiti una serie di approfondimenti tenutisi in occasione del 1999, Anno internazionale delle persone anziane.
      Tali occasioni di dibattito e di confronto hanno prodotto una serie di raccomandazioni rivolte ai vari Governi affinché considerino le politiche ed i programmi per le persone anziane parte delle strategie complessive di sviluppo.
      Rispettando le politiche nazionali, la risoluzione 37/51 propone che «l'intera popolazione» venga coinvolta nella «preparazione agli stadi successivi della vita», e che «le generazioni vecchie e nuove cooperino per creare un equilibrio tra la tradizione e l'innovazione nello sviluppo economico, sociale e culturale».
      La seconda Assemblea mondiale delle Nazioni Unite sull'invecchiamento si terrà a Madrid nel mese di aprile e sarà una nuova occasione di confronto sull'attuazione delle raccomandazioni adottate venti anni fa.
      Nel nostro Paese, l'approccio strategico a questa che si manifesta come una vera e propria rivoluzione è stato finora condizionato profondamente dalla brevità operativa dei Governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni.
      Infatti, la complessità e l'interdipendenza dei vari aspetti connessi con la longevità di massa, richiedono strategie globali che determinano il coinvolgimento della società e dell'economia in tutti i settori: dalla scuola alla sanità, dalla formazione permanente alla organizzazione industriale, dal modello di unità abitative ai trasporti, dall'organizzazione del tempo libero ai servizi di assistenza e sociali sul territorio.
      Anche alcuni aspetti e prestazioni sociali e sanitarie richiedono una nuova lettura: il necessario spostamento del limite di età pensionabile, la previdenza integrativa, la creazione o lo sviluppo di nuove figure professionali ed assistenziali, il potenziamento dei sistemi diagnostici e preventivi accanto ad una cultura del mantenimento del «patrimonio salute» che induca a più salutistici stili di vita e di alimentazione. Dalla diffusione di una cultura della prevenzione (ad esempio, le vaccinazioni) che vada anche verso una precoce correzione dei deficit sensoriali (vista, udito) alla revisione degli attuali criteri di rimborsabilità di alcuni presidi (ad esempio per l'incontinenza) o di alcune prestazioni ambulatoriali (ad esempio il trattamento delle piaghe da decubito), il «tutoraggio sociale», l'ospedalizzazione domiciliare.
      C'è, allo stato, una visione distorta del mondo della terza età che privilegia gli aspetti del disagio sociale, delle disabilità o
 

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del sanitario, che coinvolge poco più del 10 per cento di questa fascia della popolazione.
      Gli stereotipi negativi incuneati nella società civile contemporanea nei confronti della vecchiaia, quali improduttività, malattia, aggravio economico per le nuove generazioni, peso per le famiglie, individualità egoiste distaccate e rallentate, isolamento, solitudine, fanno apparire la terza età come un anatema, una maledizione del futuro, piuttosto che un magnifico traguardo, sottostimando, invece, le risorse inespresse o non veicolate di cui questa parte della società è portatrice.
      È, pertanto, ineludibile, la necessità di istituire una Commissione parlamentare bicamerale che, partendo da una indagine più approfondita del complesso fenomeno della longevità di massa, traduca in linee programmatiche e di indirizzo le articolate iniziative e le disposizioni di legge che dovranno essere prese in esame nella politica del Governo attraverso i vari Dicasteri.
      La Commissione avrà compiti di indirizzo e di controllo sulla concreta attuazione sia degli accordi internazionali sia della legislazione interna, relativi ai diritti e al migliore sviluppo dei soggetti appartenenti alla terza età (sopra i 60 anni) chiedendo informazioni, dati e documenti sui risultati delle attività svolte da pubbliche amministrazioni e da organismi che si occupano di questioni relative a questa fascia della popolazione.
      La Commissione riferisce alle Camere, almeno una volta l'anno, sui risultati della propria attività formulando osservazioni e proposte sulla vigente legislazione, il che consente anche l'esercizio di un potere di osservazione sugli effetti e sui limiti della legislazione vigente e di proposta sull'eventuale necessità di un suo adeguamento, in particolare per assicurarne la rispondenza alla normativa dell'Unione europea e in riferimento ai diritti previsti dalle Convenzioni internazionali.
      La Commissione esprime un parere obbligatorio sul piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti degli anziani che il Governo deve adottare ogni due anni, che costituisce il documento programmatico e che traduce in obiettivi e in azioni concrete gli impegni assunti relativamente ai diversi indirizzi, risoluzioni e raccomandazioni emanati dagli organismi europei e dall'ONU.
 

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